Vi è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea che l’uomo — quella creatura già naturalmente afflitta dalla tendenza compulsiva a conservare ricordi inutili e rimpianti tossici — possa un giorno ritrovarsi nella condizione, direi quasi nella dannazione, di possedere una memoria biologicamente perfetta, capace di registrare e conservare ogni minimo dettaglio dell’esistenza. Eppure, eccomi a contemplare questo scenario ipotetico: un’applicazione da sole 2.000 righe di codice denominata Memento che, attraverso misteriose manipolazioni delle sinapsi, trasforma il nostro cervello in un vero e proprio database relazionale. Il nome stesso — Memento — tradisce una volgarità concettuale che farebbe inorridire qualsiasi persona dotata di sensibilità linguistica: come se la memoria, quella facoltà così delicatamente fallace che ci consente di sopravvivere ai brutti ricordi grazie al benefico affievolimento temporale, potesse essere “potenziata” e aumentata c...
La mia cassetta di legno nel più grande dei parchi che è Internet