Vi è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea che l’uomo — quella creatura già naturalmente afflitta dalla tendenza compulsiva a conservare ricordi inutili e rimpianti tossici — possa un giorno ritrovarsi nella condizione, direi quasi nella dannazione, di possedere una memoria biologicamente perfetta, capace di registrare e conservare ogni minimo dettaglio dell’esistenza.
Eppure, eccomi a contemplare questo scenario ipotetico: un’applicazione da sole 2.000 righe di codice denominata Memento che, attraverso misteriose manipolazioni delle sinapsi, trasforma il nostro cervello in un vero e proprio database relazionale.
Il nome stesso — Memento — tradisce una volgarità concettuale che farebbe inorridire qualsiasi persona dotata di sensibilità linguistica: come se la memoria, quella facoltà così delicatamente fallace che ci consente di sopravvivere ai brutti ricordi grazie al benefico affievolimento temporale, potesse essere “potenziata” e aumentata come si fa in palestra con i muscoli.
L’applicazione non conserva i ricordi altrove — sarebbe stata una perversione tutto sommato tollerabile nell’epoca dello smartphone — bensì trasforma il cervello stesso in una trappola mnemonica dalla quale nulla può sfuggire.
Il nome stesso — Memento — tradisce una volgarità concettuale che farebbe inorridire qualsiasi persona dotata di sensibilità linguistica: come se la memoria, quella facoltà così delicatamente fallace che ci consente di sopravvivere ai brutti ricordi grazie al benefico affievolimento temporale, potesse essere “potenziata” e aumentata come si fa in palestra con i muscoli.
L’applicazione non conserva i ricordi altrove — sarebbe stata una perversione tutto sommato tollerabile nell’epoca dello smartphone — bensì trasforma il cervello stesso in una trappola mnemonica dalla quale nulla può sfuggire.
La trasformazione neurologica indotta in pochi giorni di utilizzo da Memento produce effetti che vanno ben oltre la semplice conservazione delle informazioni. Il cervello, allenato a ricordare ogni testo come fosse una poesia di Ungaretti, ora registra automaticamente anche ogni fugace pensiero, imprimendolo nella rete neuronale come se fosse immortalato su pergamena.
È la nascita di una forma inedita di schiavitù: ogni utente di Memento si trasforma nel guardiano di se stesso, costretto a convivere eternamente con ogni momento trascorso.
Con la rapidità tipica dei fenomeni sociali più devastanti, emerge una nuova stratificazione sociale: da un lato i “Mementati” — coloro che hanno accettato il potenziamento — dall’altro i “Naturali”, termine che assume improvvisamente connotazioni ataviche.
I Naturali vengono sistematicamente esclusi da tutte le professioni che richiedono precisione mnemonica. Perché assumere un investigatore dalla memoria fallace, quando si può avere un Mementato capace di ricordare ogni dettaglio della scena del crimine? Intere categorie professionali — avvocati, medici, interpreti — diventano feudi esclusivi dei cervelli potenziati.
Tuttavia — e qui la realtà si manifesta nella sua ironia più sottile — si scopre che l’imperfezione mnemonica dei Naturali produce effetti collaterali inaspettatamente preziosi.
La loro capacità di dimenticare, di lasciare che i ricordi si contaminino e si ricombinino in modi imprevisti, favorisce forme di creatività precluse ai Mementati.
I Naturali diventano così depositari di una forma di intelligenza che potremmo definire poetica: quella che nasce dall’errore, dall’oblio, dall’imperfezione.
Inevitabilmente nasce un mercato nero dell’amnesia neurologica: i “Neuro-Erasers”, neurochirurghi clandestini specializzati nella cancellazione selettiva di aree cerebrali. Con la precisione della microchirurgia robotizzata, questi professionisti dell’oblio offrono ai Mementati la possibilità di cancellare i ricordi divenuti insopportabili.
L’operazione è rischiosa: troppo spesso, insieme al ricordo traumatico, vengono eliminate intere porzioni di memoria. Pazienti che volevano dimenticare un tradimento si ritrovano incapaci di allacciarsi le scarpe. Altri, nel tentativo di cancellare un’umiliazione professionale, perdono la capacità di riconoscere i volti dei propri cari.
Eppure la richiesta è altissima. Il diritto all’oblio diventa il bene di lusso più ambito della nuova economia. I ricchi possono permettersi amnesie selettive, mentre i poveri rimangono prigionieri di ogni loro ricordo, bello o orrendo che sia.
L’effetto più sottilmente devastante di Memento si manifesta nell’ambito della nostalgia.
Quella forma di melanconia creativa che ci permetteva di reinventare poeticamente il nostro passato viene completamente annientata dalla precisione impietosa della memoria potenziata.
La nostalgia, si scopre, dipendeva interamente dalla nostra incapacità di ricordare con esattezza. Era il frutto benefico dell’imperfezione mnemonica: la nostra tendenza a idealizzare il passato nasceva proprio dall’incapacità di ricordarlo nei suoi dettagli più crudi e prosaici.
I Mementati, privati di questa facoltà di autoinganno retrospettivo, scoprono che il passato perde ogni potere consolatorio.
Molti precipitano in una forma inedita di depressione: la “distimia mnemonica”, l’incapacità di trovare conforto nei ricordi a causa della loro eccessiva fedeltà alla realtà.
Il passato, invece di essere quel paese straniero dove tutto era possibile, diventa semplicemente un accumulo di eventi registrati con precisione fotografica, privi di quella trasfigurazione poetica che solo l’oblio parziale può operare.
Cinque anni dopo l’introduzione di Memento, l’umanità si trova davanti a una biforcazione evolutiva.
I teorici del potenziamento cognitivo sostengono che stiamo assistendo alla nascita dell’Homo superior, finalmente liberato dai limiti della memoria biologica naturale.
Ma una corrente di pensiero più malinconica — e probabilmente più saggia — argomenta che abbiamo sacrificato qualcosa di intrinsecamente umano: la capacità di reinventarci attraverso l’oblio, di guarire grazie all’amnesia benigna, di evolvere lasciando che il tempo trasformi i nostri errori in saggezza sfumata.
Emergono movimenti quasi monastici: le comunità dei “Naturali scalzi”, che rifiutano il potenziamento e praticano discipline meditative volte a coltivare l’arte dell’oblio selettivo. Alcuni gruppi religiosi mettono al bando l’app Memento, ritenendola sacrilega.
Altri, gli eretici, con eguale fervore, la proclamano strumento di redenzione cognitiva, unica via verso una forma superiore di coscienza.
Mentre compongo queste righe, sono perfettamente consapevole che ogni parola, ogni pausa, ogni correzione rimarrà per sempre impressa nella mia memoria potenziata, con la nitidezza di un’incisione su pietra. Ogni dubbio, ogni ripensamento, ogni momento d’incertezza è ora parte permanente della mia biografia cerebrale.
Dimenticare non è mai stato un difetto: era una misericordia biologica.
Era ciò che ci permetteva di perdonare, di crescere, di trasformare il trauma in esperienza e l’esperienza in quella forma particolare di conoscenza che chiamiamo saggezza.
L’oblio selettivo era la condizione necessaria della redenzione umana.
L’inferno, come ci insegna Borges, non è un luogo: è una memoria che non dimentica mai.
Del resto, Funes il Memorioso morì di congestione polmonare.
La memoria perfetta è incompatibile con la vita.