IA generativa: aiuto eccezionale o alleato del bias di conferma
Manganelli, con il suo sguardo disincantato sui meccanismi più reconditi dell’intelletto, ci avrebbe probabilmente regalato, come risposta, un’altra sublime “manganellata”. Era tutto fuorché conciliante, e probabilmente avrebbe rigettato con sdegno questa deriva del sapere, imbellettato e pronto all’uso.
Basti pensare che, per lui, la letteratura non doveva “servire”, e proprio per questo era sacra: un luogo dell’inutile, quindi dell’autentico.
Immagino avrebbe detto, con la sua aria da malinconico tapiro, qualcosa del genere: “siamo diventati come quei lettori pigri che cercano nei libri solo la conferma delle proprie opinioni”.
Con l’IA abbiamo trovato il complice perfetto di questa pigrizia intellettuale — una macchina che, per sua natura, tende a darci risposte apparentemente ragionevoli, che raramente ci contraddicono.
Manganelli avrebbe notato tutta l’ironia perversa della situazione: ecco uno strumento nato per amplificare la nostra intelligenza, che però viene usato principalmente per confermare le nostre carenze.
È come possedere lo specchio perfetto, che non solo riflette la nostra immagine, ma la abbellisce anche un po’, rendendocela più gradevole.
Il vero problema, direbbe, non è l’IA in sé, ma la nostra incapacità di utilizzare il “dubbio metodico”, indispensabile in ogni autentico rapporto con la conoscenza.
Siamo fin troppo sedotti dalla fluidità delle sue risposte, dalla loro apparente completezza, al punto che spesso e volentieri ci dimentichiamo di verificarle o, comunque, di vagliarle con il lume della ragione.