Oltre ai consueti e scontati auguri e abbracci, ecco un mio pensiero di assestamento per questo primo giorno dell’anno.
Il Capodanno, secondo il mio “dizionario interiore”, è definito come segue: costruzione di significato sul continuum temporale, dal forte impatto psicologico e sociale, che prende forma attraverso “l’imposizione” di strutture arbitrarie. Si manifesta come un’amnesia collettiva in cui, per una notte, l’umanità intera dimentica che il tempo scorre ininterrottamente in avanti, abbracciando invece l’idea esoterica di una netta demarcazione tra un periodo così così e un altro, auspicabilmente, più prospero.
È un fenomeno di “compressione spazio-temporale” che si verifica nelle ore intorno alla mezzanotte del 31 dicembre, quando passato e futuro sembrano convergere in un singolo punto di transizione — la tentazione di definirlo di singolarità non eliminabile è forte — mentre la distanza relazionale si assottiglia.
C’è poi la dinamica del “debito sociale temporale”, per cui le persone si scambiano promesse e propositi per l’avvenire, creando una rete di aspettative e impegni reciproci che funge da “tessuto sociale” per l’anno a venire. È come uno scambio di “futures sociali” in una forma sofisticata di economia morale, dove la moneta è la speranza collettiva.
E ancora, il fenomeno della “sincronizzazione emotiva forzata”: la società impone aspettative di gioia e ottimismo durante le celebrazioni, talvolta in contrasto con le reali emozioni individuali. Un disallineamento tra le emozioni “prescritte” e quelle vissute, che genera quello che si chiama un doppio binario emotivo: da un lato i sentimenti personali, dall’altro le aspettative sociali.
Il Capodanno può anche apparire come un tentativo di esorcizzare la paura dell’ignoto, trasformando l’ansia per l’incertezza del futuro in un’esperienza controllata e condivisa socialmente, ossia una sorta di "ritualizzazione dell’incertezza".
Nell’era digitale, assistiamo poi all’emergere del fenomeno “dell’ubiquità temporale paradossale”: ci sentiamo tutti uniti da messaggini e videochiamate, ma con opportunità molto diverse di trascorrere la “festa delle feste”, insomma quello che si dice un inizio e non un finale a “tarallucci e vino” che risulta però illusorio.
Infine, un ulteriore aspetto interessante riguarda i propositi per il nuovo anno, quasi universalmente destinati a essere abbandonati. Essi rappresentano una “ritualizzazione dell’imperfezione” che consente alla società di gestire collettivamente il conflitto tra le aspirazioni e i limiti umani.
Questa dunque la mia analisi, forse un po’ provocatoria, in linea con lo stile di questo blog, su un giorno “qualsiasi” che serve a gestire le tensioni tra continuità e cambiamento, tra individuale e collettivo, tra reale e ideale.