Un tempo, quando ero piccolo, preparare l’albero di Natale aveva un altro sapore.
C’era quella magia che solo gli occhi di bambino sanno cogliere: ogni pallina diventava un caleidoscopio di luci scintillanti e ogni ramo dell’abete sembrava nascondere un piccolo dono.
Ricordo l’attesa febbrile per l’apertura delle scatole di scarpe piene di addobbi, portate in salotto dalla soffitta ancora impolverate, e il profumo della buccia di mandarino che si mescolava alla resina.
Le abili mani di mia madre guidavano le mie, mentre, sollevato sulle punte dei piedi, cercavo di appendere le decorazioni sempre più in alto.
Poi arrivava il momento topico delle festività, vissuto da tutta la famiglia con un po' di trepidazione: l’accensione delle minuscole lampadine a incandescenza che dovevano rigorosamente ricalcare le volute dei festoni.
Con le loro lucette pulsanti, riempivano, tutt'intorno, di figure danzanti la carta da parati, mentre i sibili del vento inquietavano le fiamme del caminetto.
Oltre i vetri appannati cadevano i primi fiocchi dell'inverno; così, nel tepore della casa, aspettavo la notte della vigilia con il cuore colmo di quella felicità genuina che si può provare solo durante l'infanzia, quando tutto il bello della vita può ancora accadere.