Quel che resta a noi
“Quel che resta del giorno” è il tempo che rimane da vivere a Stevens, il personaggio principale del romanzo di Kazuo Ishiguro (nel film omonimo interpretato magistralmente da Anthony Hopkins), ma può rappresentare il tempo di ciascuno di noi, indipendentemente dall’età. È quel tempo che siamo riluttanti a stimare: il delta t che inesorabilmente dovrà tendere a zero, ma che, per un baco benevolo nel codice con cui è stata programmata la nostra specie, ci sembrerà sempre abbastanza grande da contenere una nuova alba. Non abbastanza piccolo, però, da escludere i rimpianti. Il libro dovrebbe diventare obbligatorio per i giovani, sebbene, per certi versi, sarebbe anche “eversivo”, poiché invita a riconoscere in tempo i propri bisogni emotivi per non essere assaliti dai rimpianti nel “resto del giorno”.
Sarebbe come un’apologia dell’ammutinamento (concetto astratto che non voglio sviluppare meglio perché deve risultare completamente oscuro al lettore).
Qualcosa però si evince dalla sinossi che segue.
Stevens è un maggiordomo impeccabile che ha speso quasi tutta la sua vita alle dipendenze di Lord Darlington, un aristocratico inglese. È talmente preso dal senso del dovere e così devoto al suo padrone da rinunciare a una storia sentimentale con la governante Miss Kenton.
Il suo eccessivo attaccamento al ruolo sociale gli impedisce di vivere pienamente e il viaggio che intraprenderà in età avanzata per riconciliarsi con Miss Kenton si concluderà con un nulla di fatto, lasciandolo a fare i conti con ciò che ha perso irrimediabilmente.